In questo articolo
- Lo spot “miracoloso”: due giorni, 2.000 dollari e la fine di un’era?
- Cosa c’è dietro le quinte? Il trucco della “creatività” a basso costo
- Il costo umano dell’efficienza: chi paga il conto della rivoluzione AI?
- La grande illusione: l’AI può sostituire la connessione umana?
- Questo non è progresso, è sostituzione: l’AI come arma di svalutazione del lavoro
Lo spot “miracoloso”: due giorni, 2.000 dollari e la fine di un’era?
Parliamoci chiaro. Quando vedi uno spot pubblicitario durante le finali dell’NBA, ti aspetti una produzione colossale. Mesi di lavoro, troupe cinematografiche, attori, location, budget a sei zeri. E invece, nel bel mezzo di uno degli eventi sportivi più seguiti al mondo, è apparso un oggetto strano: uno spot di 30 secondi per un servizio chiamato Kalshi, un “mercato di previsioni” che somiglia pericolosamente al gioco d’azzardo. Lo spot era un caos psichedelico di scene surreali, un nonno che urla, un’aliena che beve birra, un tizio in una piscina piena di uova. Sembrava un meme, più che una pubblicità. La notizia, però, non è lo spot in sé, ma come è stato fatto.
Il suo creatore, P.J. Accetturo, ha dichiarato di averlo prodotto da solo, in due giorni, con un costo di produzione inferiore ai 2.000 dollari. Il tutto grazie all’intelligenza artificiale generativa. Mentre le agenzie tradizionali spendevano centinaia di migliaia di dollari, lui, comodamente da casa, creava un prodotto che ha raggiunto milioni di persone. A prima vista, sembra una favola moderna di democratizzazione della creatività. Ma se grattiamo la superficie, la storia che emerge è molto più cupa e ci riguarda tutti.
Cosa c’è dietro le quinte? Il trucco della “creatività” a basso costo
Il processo, che Accetturo ha candidamente condiviso, è emblematico. Ha usato modelli di AI come Gemini e ChatGPT per scrivere la sceneggiatura e poi Veo 3 di Google per generare le centinaia di clip video da cui ha selezionato quelle finali. Il punto non è la tecnologia in sé, ma l’implicazione economica e filosofica. Kalshi, l’azienda committente, ha potuto evitare di pagare registi, attori, direttori della fotografia, scenografi, truccatori, tecnici. Ha sostituito un intero ecosistema di professionalità umane con un abbonamento a un software e un singolo “creator”.
Gli esperti intervistati nell’articolo originale, come Alok Saboo della Georgia State University, parlano di “abbassamento delle barriere d’ingresso” per i piccoli brand. Sembra una bella notizia, ma è una visione parziale e pericolosamente ingenua. Quello che sta realmente accadendo è un drastico abbattimento del valore percepito del lavoro creativo. Il messaggio che passa è che la creatività, la regia, la scrittura non sono più competenze da coltivare e retribuire, ma un output generato da una macchina a costi irrisori.
Il costo umano dell’efficienza: chi paga il conto della rivoluzione AI?
Ecco il nocciolo del problema, quello che spesso viene nascosto dietro l’entusiasmo per la nuova tecnologia. L’intelligenza artificiale, in questo contesto, non è uno strumento che “assiste” i creativi, ma uno strumento che li “sostituisce”. Il “risparmio” di cui si vanta Kalshi è, in realtà, il mancato stipendio di decine di persone. Questo spot non è un’eccezione, ma un presagio di quello che potrebbe diventare la norma in molti settori: dal design alla scrittura, dalla musica al giornalismo.
Mentre i professori, come Saboo, dicono agli studenti che dovranno imparare a competere con questi strumenti, la realtà è che li si sta preparando a un mercato del lavoro dove le loro competenze saranno svalutate in partenza. Secondo il World Economic Forum, l’automazione guidata dall’AI potrebbe portare a un’erosione significativa dei posti di lavoro, specialmente quelli che consideravamo “cognitivi” e creativi. Non stiamo parlando di un futuro lontano, ma di una trasformazione che sta già accadendo e che rischia di creare una polarizzazione ancora più forte tra chi possiede la tecnologia e chi ne viene rimpiazzato.
La grande illusione: l’AI può sostituire la connessione umana?
C’è poi una questione di qualità e di significato. Lo spot di Kalshi funziona proprio perché è strano, surreale, quasi un “non-sense”. Ma cosa succede quando si cerca di comunicare un’emozione reale, un valore profondo, un’idea complessa? “Alla fine, gli esseri umani vogliono connettersi con altri esseri umani”, dice uno degli esperti nell’articolo. È una verità fondamentale che l’industria pubblicitaria, nella sua corsa all’efficienza e al taglio dei costi, rischia di dimenticare.
La freddezza e l’inautenticità percepite nei contenuti generati dall’AI sono un problema reale. Uno studio dell’IAB ha mostrato come i giovani, in particolare la Gen Z, siano molto scettici verso la pubblicità creata con l’AI. Hanno un fiuto infallibile per ciò che è finto, costruito. Il rischio per i brand è quello di creare contenuti a basso costo che, però, non creano alcuna connessione, nessuna fiducia, risultando in uno spreco ancora maggiore. Si risparmia sulla produzione per poi perdere sul risultato finale: la fiducia del consumatore.
Questo non è progresso, è sostituzione: l’AI come arma di svalutazione del lavoro
In conclusione, la storia dello spot di Kalshi non è una celebrazione dell’innovazione, ma un campanello d’allarme. Ci mostra un futuro in cui l’intelligenza artificiale non è uno strumento di emancipazione creativa, ma una leva per precarizzare ulteriormente il lavoro intellettuale. È l’ennesima manifestazione di un modello economico che insegue il profitto attraverso il taglio dei costi del lavoro, invece che attraverso l’investimento sulla qualità e sulle persone.
Quando un’azienda sceglie di sostituire un’intera troupe con un algoritmo, non sta facendo una scelta tecnologicamente neutrale. Sta facendo una scelta politica ed economica: sta decidendo che il lavoro umano è un costo da abbattere e che la creatività è una commodity. Il nostro compito, come osservatori critici, non è applaudire il “miracolo” tecnologico, ma chiederci chi ne paga il prezzo. E la risposta, quasi sempre, non si trova tra chi siede nei consigli di amministrazione.