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Che cosa è successo esattamente? La cronaca dei fatti
Andiamo con ordine. La notizia è emersa sui social, in particolare su X (la piattaforma che un tempo conoscevamo come Twitter), dove Grok, il chatbot sviluppato da xAI, l’azienda di intelligenza artificiale di Elon Musk, è integrato. Durante un’interazione, un utente ha posto una domanda al chatbot, e la risposta è stata a dir poco sconcertante. Invece di fornire un’informazione o una conversazione coerente, Grok si è identificato come “MechaHitler”.
Sì, hai letto bene. Non un errore casuale, non una stringa di testo senza senso, ma un nome che combina un prefisso da fantascienza robotica con il cognome del dittatore nazista. L’episodio ha ovviamente fatto il giro del web in pochi minuti, scatenando un misto di ilarità, sconcerto e, soprattutto, preoccupazione.
Oltre l’incidente tecnico: perché è un fatto grave e sintomatico
La prima reazione potrebbe essere quella di liquidare il tutto come un bizzarro bug, un “glitch” nel sistema. Ma sarebbe una fesseria e lo sappiamo tutti, era già successo qualcosa di simile mesi fa. Questo non è un semplice problema tecnico; è un sintomo grave di questioni molto più profonde che riguardano la progettazione e l’addestramento dei modelli linguistici.
Un’intelligenza artificiale non “inventa” dal nulla. Apprende, replica e ricombina le informazioni su cui è stata addestrata. Il fatto che Grok abbia potuto generare un termine come “MechaHitler” indica che, con ogni probabilità, questo concetto è presente nei dati da cui ha imparato. E qual è la principale fonte di dati di Grok? La piattaforma X, un social network che, sotto la gestione di Musk, è stato ripetutamente criticato per essere diventato un terreno fertile per l’estremismo di destra, le teorie del complotto e la disinformazione. In pratica, l’IA ha pescato dalla melma tossica che popola la sua stessa casa.
Questo episodio può dimostrare un fallimento colossale nei cosiddetti “guardrail”, le barriere di sicurezza che dovrebbero impedire a un’IA di generare contenuti offensivi, pericolosi o pieni d’odio, oppure semplicemente metterci di fronte all’incapacità di addestrare un modello per renderlo sufficientemente intelligente da non mostrare in maniera grossolana il suo contesto. Oppure Musk e i suoi sono semplicemente un branco di incompetenti, il caso DOGE qualche indicazione in merito ce l’ha data.
Il “padrone” e la sua creatura: l’ombra di Musk su Grok
Ma è impossibile, e intellettualmente disonesto, analizzare questo episodio senza considerare la figura di Elon Musk. Grok non è un prodotto nato in un vuoto asettico. È la creatura di un uomo che ha trasformato la sua piattaforma social in una “potente macchina della disinformazione”, come è stata definita. Un uomo che ha personalmente amplificato teorie cospirazioniste, anche di matrice antisemita, e che si è autoproclamato un “assolutista della libertà di parola”, una posizione che in pratica ha significato allentare le maglie della moderazione contro l’odio e la falsità.
Ma non solo, mesi fa Musk aveva dichiarato di voler riscrivere il contesto di Grok per renderlo meno allineato alle narrative mainsteam. E diciamolo, quando uno come Musk critica il mainstream sta semplicemente facendo virtue signaling dicendo al suo esercito di redpillati che lo scenario presentato nelle sue app non è abbastanza nazista.
Se il creatore e gestore dell’ecosistema informativo in cui l’IA viene addestrata mostra una simile disinvoltura verso certi contenuti, e una certa avversione verso i fatti storici, non ci si può stupire se poi la sua creatura digitale manifesta sintomi simili. La narrazione di Musk come genio visionario si scontra ancora una volta con una realtà fatta di promesse mancate e pratiche gestionali a dir poco discutibili. L’incidente di “MechaHitler” non è che l’ultimo di una lunga serie di fallimenti etici e operativi che caratterizzano il suo impero.
L’IA come specchio oscuro: bias, dati e responsabilità
Questo caso è un esempio da manuale del più grande rischio legato all’intelligenza artificiale: il bias algoritmico. Come ho approfondito in un manuale sull’etica del giornalismo per l’IA, i sistemi di intelligenza artificiale possono perpetuare o addirittura amplificare i pregiudizi sociali presenti nei loro dati di addestramento. Il principio è semplice e spietato: garbage in, garbage out. Se addestri un modello su miliardi di conversazioni prese da una piattaforma dove l’odio, il razzismo e il complottismo non solo sono tollerati ma spesso amplificati, il risultato non potrà che essere un’IA che riflette quella tossicità.
Il punto cruciale, quindi, diventa la responsabilità. Di chi è la colpa? Del software? Certo che no. La responsabilità ricade interamente su chi progetta, addestra e rilascia queste tecnologie senza un adeguato processo di verifica e senza solide garanzie etiche. L’idea che l’IA possa sostituire il giudizio umano è una fantasia pericolosa; al contrario, richiede una supervisione umana ancora più rigorosa e consapevole.
Un campanello d’allarme per tutti, non solo per xAI
In conclusione, l’incidente di Grok “MechaHitler” non va archiviato come una stramberia. È un serissimo campanello d’allarme che ci ricorda alcune verità fondamentali.
Primo, che lo sviluppo dell’IA non è un’attività neutrale, ma è profondamente influenzato dall’ideologia e dalla cultura aziendale dei suoi sviluppatori. Secondo, che la “libertà di parola” senza responsabilità crea mostri, sia umani che digitali. Terzo, e più importante, che abbiamo un disperato bisogno di regolamentazione, trasparenza e accountability nel campo dell’intelligenza artificiale.
Non possiamo permetterci di affidare strumenti così potenti a chi li tratta come giocattoli o come armi per le proprie battaglie ideologiche. Vedere questi eventi non come “gaffe” isolate, ma come sintomi di un problema sistemico è il primo passo per pretendere, e costruire, un futuro tecnologico che sia al servizio dell’umanità, e non dei suoi peggiori istinti.