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La prossima crisi finanziaria sarà causata dall’IA? Dentro la bolla dei data center che minaccia l’economia

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Mentre l’economia globale arranca, c’è un settore che vive una corsa all’oro senza precedenti: la costruzione di data center per l’intelligenza artificiale. Google, Meta, Microsoft e Amazon stanno investendo centinaia di miliardi di dollari in infrastrutture, una spesa così colossale da agire come un vero e proprio “stimolo privato” per l’economia americana. Ma dietro questa facciata scintillante si nascondono gli stessi meccanismi tossici che hanno portato alla crisi finanziaria del 2008: una bolla speculativa, finanziamenti opachi e un rischio sistemico che, ancora una volta, potrebbe essere scaricato sulla collettività.

Uno “stimolo privato”: come l’IA sta drogando l’economia

I numeri sono sbalorditivi. Le quattro principali Big Tech stanno spendendo in infrastrutture cifre che superano un terzo del loro fatturato totale. Secondo l’economista Neil Dutta, negli ultimi trimestri, questi investimenti hanno contribuito alla crescita del PIL americano più di tutta la spesa dei consumatori. In pratica, una manciata di aziende sta tenendo a galla l’economia con una scommessa miliardaria su un futuro incerto.

L’IA, ci dicono, ha bisogno di una potenza di calcolo che cresce in modo esponenziale. E chiunque fornirà questa potenza, si assicurerà profitti enormi. Questa è la narrazione. La realtà è che si sta costruendo un’infrastruttura gigantesca senza avere la minima certezza che la domanda di servizi AI sarà sufficiente a ripagarla. E la storia, in questo, è una pessima consigliera.

I fantasmi del passato: dalle ferrovie alla bolla delle dot-com

Non è la prima volta che assistiamo a una simile euforia. Il boom delle ferrovie nel 1800 e quello delle telecomunicazioni alla fine degli anni ’90 seguirono lo stesso copione: investimenti massicci in infrastrutture, alimentati da una narrazione di progresso inarrestabile, seguiti da crolli finanziari devastanti. In entrambi i casi, le aziende avevano costruito troppo e troppo in fretta, la domanda non aveva tenuto il passo e i debiti non potevano essere ripagati.

Certo, a lungo termine quelle ferrovie e quelle fibre ottiche si sono rivelate utili. Ma questo non ha consolato chi ha perso tutto nel crollo. Oggi, molti temono che la storia si stia ripetendo. Se i ricavi generati dall’IA non cresceranno abbastanza in fretta da giustificare questi investimenti colossali, il castello di carte potrebbe crollare.

Chi sta pagando la festa? L’ombra del “credito privato”

La domanda cruciale è: da dove arrivano tutti questi soldi? In parte, dalle immense riserve di liquidità delle Big Tech. Ma una fetta sempre più grande proviene dal mercato del debito, e in particolare da un angolo oscuro e poco regolamentato della finanza: il “private credit”.

I fondi di credito privato sono entità che raccolgono capitali e li prestano direttamente alle aziende, aggirando il sistema bancario tradizionale. Sono mercati opachi, con poche regole e controlli. E, come nel 2008 con i mutui subprime, stanno diventando un anello cruciale della catena. Secondo l’Economist, Meta sta negoziando prestiti per 30 miliardi di dollari proprio da questi fondi.

Il problema è che questi fondi, a loro volta, si finanziano prendendo a prestito denaro dalle banche tradizionali e dalle compagnie di assicurazione. Secondo dati della Federal Reserve, l’esposizione delle banche americane verso il credito privato è esplosa, passando dall’1% al 14% dei loro prestiti a istituzioni non bancarie in un decennio. Anche le compagnie di assicurazione sulla vita sono esposte per cifre che superano quelle dei famigerati titoli tossici del 2007.

Le condizioni per il disastro ci sono già tutte

Ricapitolando, abbiamo tutti gli ingredienti per una potenziale crisi sistemica:

  1. Una narrazione potente (“l’IA cambierà tutto”) che giustifica ogni azzardo.
  2. Un’enorme concentrazione di debito in un singolo settore, dove i rischi sono altamente correlati.
  3. Un angolo opaco e in rapida crescita della finanza (il credito privato) che agisce da intermediario.
  4. Il coinvolgimento di istituzioni sistemiche (banche e assicurazioni) che potrebbero essere contagiate in caso di crollo.

Il pericolo non è ancora quello del 2008, ma i segnali sono inquietanti. Lo stesso CEO di JP Morgan, Jamie Dimon, ha lanciato l’allarme, pur continuando a partecipare al gioco. Come disse un ex CEO di Citibank dopo l’ultima crisi: “Finché la musica suona, devi alzarti e ballare”. Il problema è che, quando la musica si fermerà, a pagare il conto saremo, come sempre, tutti noi.