In questo articolo
Dal lancio di ChatGPT nel novembre 2022, non passa giorno senza che qualche esperto o amministratore delegato ci annunci l’imminente apocalisse dei posti di lavoro. Una narrazione che sembra confermata dai continui licenziamenti nel settore tecnologico. Eppure, uno studio sorprendente della prestigiosa Università di Yale arriva a una conclusione diametralmente opposta: finora, l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’occupazione è stato praticamente nullo. Un attimo, come è possibile?
L’ansia da apocalisse lavorativa e la sorpresa da Yale
«Mentre l’ansia per gli effetti dell’IA sul mercato del lavoro odierno è diffusa, i nostri dati suggeriscono che rimane in gran parte speculativa», si legge nello studio del Budget Lab di Yale, un centro di ricerca economica. Una doccia fredda per chi dava per certa una trasformazione radicale e immediata del mondo del lavoro.
I ricercatori hanno analizzato i dati sull’occupazione negli Stati Uniti negli ultimi 33 mesi, lo status lavorativo dei neolaureati e l’esposizione di vari gruppi di lavoratori alla tecnologia IA. I risultati, diciamolo, spiazzano.
Cosa dice (e non dice) lo studio
In una delle loro analisi, hanno confrontato tre gruppi di lavoratori con diversi livelli di esposizione all’IA (alto, medio e basso). Se l’IA stesse davvero sostituendo le persone, ci si aspetterebbe un calo nei gruppi ad alta e media esposizione. Invece, le percentuali sono rimaste praticamente invariate. L’IA, almeno per ora, sembra non essere un fattore determinante.
In un altro confronto, il team di Yale ha misurato il tasso di cambiamento nella composizione della forza lavoro, paragonandolo a due periodi storici di grande trasformazione: l’introduzione dei computer nel 1984 e l’esplosione di internet nel 1996. Sorprendentemente, il ritmo del cambiamento attuale è molto simile a quello di allora. In altre parole, l’IA non sembra essere più “dirompente” di quanto non lo siano stati i computer o internet, nonostante le previsioni catastrofiche di molti CEO della Silicon Valley.
«Il quadro che emerge dai nostri dati è uno che riflette in gran parte stabilità, non una grande perturbazione a livello di intera economia», conclude lo studio.
E allora i licenziamenti e la crisi? C’entrano le banche, non i robot
Ma allora, come si spiega la percezione diffusa di un mercato del lavoro deprimente, i licenziamenti di massa e la difficoltà dei giovani a trovare un primo impiego? Lo studio di Yale non nega questi problemi, ma suggerisce che la colpa non sia dell’IA.
Molti analisti, infatti, attribuiscono l’attuale contrazione del mercato del lavoro, soprattutto nel settore tecnologico, alla fine dell’era dei tassi di interesse a zero decisa dalla Federal Reserve statunitense nel 2022. Prima di allora, le aziende potevano prendere in prestito enormi capitali a costi bassissimi, gonfiando un’immensa bolla di startup e posizioni tech ben retribuite. Con l’aumento dei tassi, la festa è finita, e le aziende hanno iniziato a tagliare. Insomma, una classica crisi economica, non una rivoluzione tecnologica.
Per quanto riguarda la carenza di posizioni per i neolaureati, alcuni esperti ritengono che il fenomeno preceda ChatGPT e sia legato a cambiamenti strutturali, come un numero di laureati superiore ai posti di lavoro disponibili che richiedono una laurea.
Il vero impatto: quando la minaccia dell’IA è più potente dell’IA stessa
E i titoli dei giornali che parlano di persone licenziate “a causa dell’IA”? Qui la faccenda si fa più sottile. Potrebbe trattarsi di amministratori delegati che, cavalcando l’onda dell’hype, usano l’IA come comodo capro espiatorio per decisioni di ristrutturazione aziendale. L’adozione dell’IA è ancora molto disomogenea e la tecnologia, in pratica, lascia ancora molto a desiderare.
Ed è qui, forse, il punto cruciale. Lo studio di Yale ci dice che, ad oggi, l’IA non ha ancora avuto un impatto su larga scala. Ma questo non significa che non ne stia avendo uno a livello narrativo e psicologico. La *minaccia* dell’automazione viene usata come leva per giustificare i tagli, per precarizzare il lavoro e per spingere i lavoratori ad accettare condizioni peggiori.
Anche se i robot non ci stanno ancora rubando il lavoro, la paura che possano farlo sta già cambiando le regole del gioco, e non a nostro favore. Lo studio di Yale è un’importante boccata d’aria fresca contro il catastrofismo, ma non deve farci abbassare la guardia. La vera battaglia, oggi, non è contro le macchine, ma contro chi usa la narrazione sulle macchine per concentrare ancora più ricchezza e potere verso l’alto.