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Se sei un giovane in cerca di lavoro in questo mercato disastroso, gli “esperti” di una delle aziende più ricche del pianeta, Goldman Sachs, hanno un messaggino per te: sei praticamente fregato.
Non usano proprio queste parole, ma il succo è quello. In un’analisi sulle recenti tendenze economiche negli Stati Uniti, gli economisti della banca d’affari hanno messo nero su bianco che la “crescita senza lavoro” è, in pratica, la nuova normalità.
Il verdetto di Goldman Sachs: la crescita sarà senza lavoro
Secondo quanto riportato da Fortune, che ha ottenuto la nota, David Mericle e Pierfrancesco Mei di Goldman Sachs prevedono che la maggior parte della crescita futura del PIL proverrà dai guadagni di produttività spinti dall’intelligenza artificiale. Il contributo della “crescita dell’offerta di lavoro” (cioè, l’aumento dei lavoratori disponibili) sarà solo “modesto”.
Insomma, le aziende faranno più soldi grazie alle macchine, non assumendo persone.
L’avvertimento più inquietante, però, è un altro: “La storia suggerisce anche che le piene conseguenze dell’IA per il mercato del lavoro potrebbero non diventare evidenti finché non arriva una recessione”. Quando le cose si metteranno male, l’IA sarà la prima scusa per tagliare.
Il mercato “low-hire, low-fire”
Gli effetti, dicono, sono già visibili. Le assunzioni in quasi tutti i settori, tranne la sanità, sono diventate negative negli ultimi mesi. I manager e i dirigenti stanno scommettendo sull’IA per “ottimizzare le operazioni”, che tradotto dal gergo finanziario significa tagliare i costi generali più costosi: gli stipendi.
Questa analisi fa il paio con i commenti di Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, che a settembre aveva descritto il mercato del lavoro come “low-hire, low-fire” (poche assunzioni, pochi licenziamenti). La sua conclusione? “I ragazzi che escono dall’università e i più giovani, le minoranze, stanno avendo difficoltà a trovare lavoro”.
L’IA è un alibi? La realtà dei fallimenti
È una pillola difficile da mandare giù, ma c’è più di un motivo per essere scettici su questa narrazione catastrofista. È vero, le assunzioni sono al rallentatore: un report ha rilevato che negli Stati Uniti sono al livello più basso dal 2009, in piena crisi finanziaria. Tuttavia, gli economisti sono ben lontani da un consenso sulla causa. L’IA, in questo scenario, sembra più un comodo capro espiatorio che il vero colpevole.
Come notano gli stessi analisti di Goldman Sachs, l’impatto complessivo dell’IA sulla macroeconomia è ancora limitato, una conclusione condivisa anche dallo Yale Budget Lab. Nonostante le centinaia di miliardi investiti, la rivoluzione attesa non si vede.
Anzi, al momento le prospettive sembrano cupe. L’IA è ben lontana dall’essere la gallina dalle uova d’oro che i dirigenti si aspettavano: sta fallendo nel 95% delle aziende che provano a implementarla. Diverse società, dopo aver scommesso tutto sull’automazione dei propri dipendenti (come Klarna), stanno ingoiando il rospo e facendo marcia indietro, o riassumendo i lavoratori licenziati o rottamando i programmi di IA in favore del buon vecchio outsourcing.
Non è la tecnologia, è il capitale
In entrambi i casi, il vero problema non è la presunta capacità dell’IA di fare il lavoro di tutti. Il problema è la solita, vecchia classe dirigente che ha sempre combattuto con le unghie e con i denti per tenersi ogni centesimo che non ha mai faticato per guadagnare.
L’intelligenza artificiale, in questo contesto, non è la causa della disoccupazione giovanile. È l’alibi perfetto, l’ultimo strumento retorico utilizzato per giustificare la concentrazione di ricchezza verso l’alto, tagliando salari e diritti. Non è la macchina che ci frega, ma chi la usa come scusa.