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Guarda, la situazione è esattamente come la immaginavamo, ma vederla nero su bianco fa sempre un certo effetto. C’è questo grande racconto che ci fanno sull’intelligenza artificiale come nuova frontiera dell’informazione, ma la realtà, per chi il giornalismo lo fa sul serio, è molto più amara. Un recente report della società di analisi Similarweb, ripreso da TechCrunch, mette in fila i numeri, e sono numeri che parlano chiaro: il traffico che ChatGPT manda ai siti di notizie è in crescita, sì, ma è una goccia d’acqua dolce in un oceano che sta diventando salatissimo.
Il problema vero, quello che sta prosciugando le visite ai nostri siti, è un altro. E ha un nome e un cognome: Google AI Overviews.
Il miraggio dei click da ChatGPT: una buona notizia che non basta
Partiamo dal dato che, a prima vista, sembrerebbe positivo. Le persone usano sempre di più ChatGPT per informarsi. Le domande relative a notizie sono cresciute del 212% in poco più di un anno. E un po’ di questo interesse, effettivamente, si trasforma in visite. I click che da ChatGPT arrivano ai siti di news sono passati da meno di un milione a oltre 25 milioni tra il 2024 e il 2025. Un aumento del 2500%, che suona enorme.
Ma, appunto, suona. Perché se allarghiamo lo sguardo, ci accorgiamo che questo piccolo ruscello non può certo riempire il bacino che si sta svuotando altrove a velocità spaventosa.
La vera emorragia: Google e il deserto del “non-clic”
Ecco il nodo cruciale. Da quando Google ha introdotto le sue risposte generate dall’intelligenza artificiale direttamente nella pagina dei risultati, il mondo è cambiato. Prima, per sapere qualcosa, dovevi cliccare su un link. Ora, Google ti dà la pappa pronta. Il risultato? Una catastrofe per chi produce i contenuti che alimentano quelle risposte.
I dati di Similarweb sono un pugno nello stomaco:
- Le ricerche di notizie che si concludono senza nemmeno un clic verso un sito esterno sono passate dal 56% a quasi il 69% in un solo anno.
- Il traffico organico totale verso i siti di informazione è crollato da un picco di 2,3 miliardi di visite a meno di 1,7 miliardi.
In pratica, le vecchie regole del gioco, quelle basate sulla SEO e su un buon posizionamento su Google, non valgono quasi più. Puoi essere il primo risultato, ma se l’utente ha già avuto la sua risposta, non verrà mai a trovarti sul tuo sito. E senza visite, crollano i ricavi pubblicitari, la base su cui si regge gran parte dell’informazione online.
Chi vince e chi perde in questa nuova partita
Come sempre, non siamo tutti uguali di fronte alla rivoluzione. Anche in questo scenario, c’è chi se la passa un po’ meglio. Testate come Reuters, il NY Post e Business Insider stanno vedendo aumenti più consistenti di traffico da ChatGPT. Altri, come il New York Times, che non a caso ha fatto causa a OpenAI per aver usato i suoi articoli senza permesso, vedono una crescita molto più modesta.
È interessante anche notare cosa cercano le persone: si parte da finanza e sport, ma crescono le domande su temi complessi come politica ed economia. Forse, un segnale che l’utente non si accontenta più del titolo, ma cerca un primo livello di approfondimento tramite l’AI. Un approfondimento, però, che raramente porta a un secondo clic verso la fonte originale.
Soluzioni disperate e ammissioni dolorose: che ne sarà del giornalismo?
Di fronte a questa crisi, le soluzioni scarseggiano. Google, forse sentendosi un po’ in colpa, ha lanciato un nuovo strumento chiamato “Offerwall”, che permette agli editori di sperimentare con micropagamenti o richieste di iscrizione alla newsletter. Insomma, un modo per provare a monetizzare quel poco traffico rimasto.
Per il resto, il panorama è desolante: licenziamenti di massa e chiusure sono all’ordine del giorno. E mentre l’industria sanguina, il CEO di OpenAI, Sam Altman, in una recente intervista al podcast Hard Fork del New York Times, ammette con una certa freddezza che “ci sarà del dolore reale, in molti casi”.
Un dolore che, al momento, sembra ricadere tutto sulle spalle di chi l’informazione la produce, vedendola saccheggiata per addestrare modelli che, alla fine, renderanno il loro stesso lavoro superfluo. Una dinamica di estrazione di valore che conosciamo bene e che, ancora una volta, rischia di concentrare ricchezza e potere nelle mani di pochissimi, a scapito della qualità e della pluralità del dibattito pubblico.