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L’AI non è neutrale: come i giganti del web vincono anche la guerra dei chatbot

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Nessuna sorpresa: chi vince su Google, vince anche con l’AI

Parliamoci chiaro. C’era questa speranza, un po’ ingenua, che l’intelligenza artificiale potesse livellare il campo di gioco dell’informazione online, dando una possibilità a nuove voci di emergere. Ecco, un recente e fondamentale studio pubblicato sul blog di Ahrefs ha preso questa speranza e l’ha fatta a pezzi con la fredda brutalità dei dati. La conclusione, riassunta brutalmente, è questa: i ricchi diventano sempre più ricchi. I siti web che già dominano la ricerca organica tradizionale di Google sono gli stessi che vengono citati e amplificati dai nuovi motori di ricerca basati sull’AI.

L’analisi ha messo a confronto le menzioni su Google AI Overviews, ChatGPT e Perplexity con il traffico organico dei siti web. Il risultato è una correlazione diretta: più sei grande e popolare su Google, più l’AI ti userà come fonte. Wikipedia, YouTube, Reddit, le grandi testate giornalistiche, i colossi dell’e-commerce: i soliti noti. La “nuova” frontiera della ricerca assomiglia in modo inquietante a quella vecchia. Non è una sorpresa, come ammette lo stesso autore, ma è una conferma che gela le ossa: l’AI non sta creando un nuovo ecosistema, sta solo mettendo un nuovo strato di vernice su quello esistente, rendendolo ancora più solido e difficile da scalfire.

L’illusione della “nuova” ricerca: l’AI come riciclatore di contenuti dominanti

Il punto critico è questo: le intelligenze artificiali generative non creano conoscenza dal nulla. Riaggregano, riassumono e rielaborano informazioni che già esistono sul web. E da dove pescano queste informazioni? Dalle fonti che, per algoritmi e popolarità, sono già in cima alla catena alimentare digitale. Lo studio di Ahrefs mostra come Google AI Overviews si affidi pesantemente a contenuti generati dagli utenti (UGC) come Reddit e Quora, oltre ovviamente a YouTube (che è sempre di Google, ricordiamocelo).

Questo cosa significa? Che invece di promuovere un’informazione plurale e verificata, si finisce per dare un’enorme cassa di risonanza a piattaforme dove l’attendibilità è, nel migliore dei casi, variabile. Si premia il contenuto che genera più interazione, non necessariamente quello più corretto o approfondito. È un circolo vizioso: i siti più grandi hanno più traffico, quindi vengono citati dall’AI; essere citati dall’AI consolida la loro autorità e porta ancora più traffico. Per le piccole testate, i blog indipendenti, gli esperti di nicchia, lo spazio si riduce drasticamente. L’AI, invece di aprire le porte, le sta chiudendo a doppia mandata.

Il nuovo ministero della verità: come l’AI decide chi ha diritto di parola

Andiamo ancora più a fondo. La correlazione tra traffico e menzioni AI non è identica su tutte le piattaforme. Perplexity mostra una correlazione forte, Google moderata, ChatGPT debole. Perché? Perché, come nota lo studio, ChatGPT ha un’ossessione per Wikipedia, che da sola rappresenta oltre il 16% delle menzioni. Questa non è una dinamica “naturale”, è una chiara scelta di addestramento. OpenAI ha deliberatamente addestrato il suo modello a considerare Wikipedia come fonte primaria di verità, probabilmente per proiettare un’aura di autorevolezza e neutralità.

Questa scelta, apparentemente innocua, è in realtà un atto di potere editoriale immenso. Le aziende che sviluppano questi modelli (Google, OpenAI, etc.) stanno diventando i nuovi ministeri della verità. Non si limitano a indicizzare il web, ma lo curano, lo filtrano, decidono cosa è affidabile e cosa no, cosa merita di essere citato e cosa deve essere ignorato. Stanno costruendo un “recinto” informativo, un giardino dorato dove solo le fonti da loro prescelte possono entrare. E questa concentrazione di potere, invisibile all’utente finale che riceve una risposta pulita e confezionata, è una delle più grandi minacce alla libertà e al pluralismo dell’informazione.

Cosa significa per chi crea? La trappola della visibilità

L’articolo di Ahrefs si chiude con un consiglio pratico per chi produce contenuti: “create video e siate attivi sui forum”. Dal punto di vista SEO, ha senso. Ma dal punto di vista sociale e del lavoro, è un’indicazione drammatica. In pratica, si sta dicendo ai creatori di contenuti di lavorare gratis (o quasi) per le piattaforme che già detengono il monopolio: YouTube, Reddit, Quora. La strategia non è più costruire un proprio spazio autorevole, ma produrre contenuti che vengano “notati” e “inglobati” dall’AI.

È la trappola della visibilità. Si lavora per arricchire le piattaforme dei giganti tecnologici nella speranza di essere citati, spesso senza neanche un link diretto, in un riassunto generato da un chatbot. Questo svaluta il lavoro intellettuale, lo trasforma in una commodity, in semplice “materiale grezzo” da dare in pasto agli algoritmi. L’AI diventa così lo strumento perfetto per estrarre valore dal lavoro di migliaia di persone, concentrando i profitti nelle mani di chi possiede l’infrastruttura. È il modello del precariato digitale applicato alla conoscenza.

Conclusione: L’AI non è un oracolo, è uno specchio del potere esistente

Non facciamoci illusioni. Lo studio di Ahrefs conferma un sospetto che, come giornalisti critici, avevamo da tempo. L’intelligenza artificiale, nella sua forma attuale, non è un oracolo neutrale, ma uno specchio che riflette, e amplifica, le strutture di potere del web che già conosciamo. Consolida i monopoli, marginalizza le voci indipendenti e accelera la svalutazione del lavoro creativo e intellettuale.

Il “nuovo” mondo della ricerca AI assomiglia terribilmente al vecchio, solo con un’interfaccia più elegante e un meccanismo di funzionamento molto più opaco. La battaglia per un’informazione plurale e per un giusto riconoscimento del lavoro di chi la produce non finisce con l’arrivo dei chatbot. Anzi, è appena iniziata e si combatte su un terreno ancora più scivoloso e complesso.