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Il grande scollamento: quando la produttività cresce e i salari no
Parliamoci chiaro: la questione dell’intelligenza artificiale che “ruba il lavoro” non nasce oggi. È solo l’ultimo, e forse più spaventoso, capitolo di una storia che va avanti da decenni. Il senatore del Vermont, Bernie Sanders, una delle voci più riconoscibili della sinistra americana, ha recentemente messo il dito nella piaga con un report che delinea uno scenario a dir poco preoccupante: l’automazione e l’IA potrebbero cancellare quasi 100 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti nel prossimo decennio.
Ma il vero nodo del problema, come sottolinea Sanders, non è la tecnologia in sé. Il punto è che i lavoratori americani (e non solo, direi) non vedono un centesimo dei profitti stratosferici generati da queste innovazioni. I dati sono impietosi: dal 1973, la produttività dei lavoratori è esplosa, aumentando del 150%, e i profitti delle aziende sono cresciuti di oltre il 370%. E i salari? In termini reali, per il lavoratore medio americano, sono diminuiti di quasi 30 dollari a settimana.
Questo fenomeno ha un nome: il divario tra produttività e salari. Per decenni, ben prima che l’IA diventasse un argomento da prima pagina, le grandi aziende hanno iniziato a comprimere le retribuzioni, anche a fronte di un’efficienza sempre maggiore, intascandosi la differenza. Oggi, il risultato è che se il salario minimo federale avesse tenuto il passo con la produttività, si aggirerebbe intorno ai 25 dollari l’ora, non gli attuali e miseri 7,25 dollari.
L’IA come acceleratore di disuguaglianze
Ecco, in questo quadro già di per sé critico, l’intelligenza artificiale rischia di funzionare come un potentissimo acceleratore di disuguaglianze. I dirigenti d’azienda, d’altronde, non fanno neanche troppi sforzi per nasconderlo. Si vantano apertamente dei posti di lavoro che riescono ad automatizzare e usano la minaccia dell’IA come un’arma per spingere i dipendenti rimasti a lavorare di più, per meno soldi. L’IA, nelle mani sbagliate, non è uno strumento di progresso per tutti, ma un formidabile strumento per concentrare ancora più ricchezza e potere verso l’alto, sfruttando competenze e manodopera dal basso.
La preoccupazione di Sanders è che questa tendenza, se non governata, possa letteralmente spazzare via l’economia come la conosciamo, lasciando milioni di persone senza mezzi di sussistenza e allargando a dismisura una forbice sociale già insostenibile.
La “Robot Tax”: la proposta di Sanders sul tavolo
Di fronte a questo scenario, Sanders non si limita alla denuncia e avanza una proposta concreta: una “tassa sui robot“. L’idea è semplice nella sua concezione: imporre una tassa di concessione diretta sulle tecnologie di automazione utilizzate dalle grandi corporation. I proventi di questa tassa andrebbero poi a finanziare un fondo per redistribuire la ricchezza creata da queste stesse tecnologie ai lavoratori che ne subiscono l’impatto, perdendo il lavoro o vedendo ridotto il proprio reddito.
In pratica, è una variante dell’idea di reddito di base universale (UBI), ma mirata specificamente a chi è direttamente colpito dall’automazione. “Se i lavoratori verranno sostituiti dai robot, come accadrà in molti settori,” scrive Sanders nel suo libro del 2023, “dovremo adattare le politiche fiscali e normative per garantire che il cambiamento non diventi semplicemente una scusa per la speculazione al ribasso da parte delle multinazionali”.
Un reddito di base universale basta davvero? I limiti di una visione mainstream
L’idea è affascinante, ma è la soluzione definitiva? Qui le cose si complicano. Prima di tutto, c’è da essere scettici sul fatto che l’apocalisse lavorativa sia davvero imminente. Dati recenti mostrano che il 95% delle aziende che implementano soluzioni di IA, al momento, non riesce a generare profitti significativi da esse. L’hype, insomma, è ancora molto più grande della realtà operativa.
Ma c’è un campanello d’allarme ancora più forte. L’idea di una qualche forma di UBI o di tassazione dei robot piace persino a figure come Bill Gates. E quando una proposta di sinistra radicale inizia a raccogliere consensi anche in certi salotti, forse è il caso di chiedersi se non sia stata un po’ troppo annacquata.
Come sostengono alcuni commentatori, senza una rete di sicurezza sociale enormemente ampliata, un reddito di base rischia di essere solo un cerotto. Potrebbe trasformarsi in una nuova forma di povertà di stato, dove le persone ricevono un sussidio minimo per sopravvivere, mentre il costo della vita esplode. Per essere davvero universale ed efficace, un UBI dovrebbe essere accompagnato da tutele per i lavoratori, come il blocco degli affitti e il controllo dei prezzi, per non parlare di un vero controllo democratico sui luoghi di lavoro.
Insomma, la proposta di Sanders ha il grande merito di portare il dibattito al centro della scena politica. Ma la vera sfida non è solo tassare i robot, ma ripensare dalle fondamenta un sistema economico che, da molto prima dell’arrivo dell’IA, ha smesso di funzionare per la maggior parte delle persone.