In questo articolo
Era solo questione di tempo. L’utopia di un’intelligenza artificiale al servizio della pura conoscenza, un assistente digitale che ci fornisce risposte oggettive e pulite, è ufficialmente finita prima ancora di iniziare. Google, il cui impero da quasi 100 miliardi di dollari a trimestre si fonda sulla pubblicità, ha iniziato a vendere spazi promozionali all’interno delle risposte generate dalla sua “AI Mode”. La notizia, riportata da AdAge, non è una sorpresa, ma la cinica conferma di una verità immutabile: per la Big Tech, ogni innovazione è solo un nuovo, più efficace, veicolo pubblicitario.
L’illusione infranta: l’IA come nuovo cartellone pubblicitario
Ricordate la promessa? Basta con la fatica di cliccare su dieci link blu per trovare un’informazione. L’IA avrebbe sintetizzato per noi la migliore risposta possibile. Quello che Google ha omesso di dire è che la “migliore risposta” sarebbe stata, molto presto, quella di chi paga di più. Secondo le indiscrezioni, l’azienda sta già presentando agli inserzionisti slide trionfalistiche che recitano: “Siate parte della nostra più potente esperienza di ricerca AI”.
La maschera è caduta. L’intelligenza artificiale non è uno strumento di emancipazione per l’utente, ma la nuova frontiera per perfezionare quel modello di business che ha reso Google un monopolio: vendere la nostra attenzione.
Come funzionerà l’invasione (e perché è peggio di prima)
I nuovi formati pubblicitari saranno integrati direttamente nelle conversazioni con l’IA. State chiedendo consigli per un acquisto? L’IA vi presenterà, come se fosse un suggerimento neutrale, prodotti sponsorizzati. State cercando informazioni per un viaggio? La risposta includerà banner e link a pagamento. Il tutto, ovviamente, contrassegnato da una piccola etichetta “Sponsored” che molti, nella fluidità della conversazione, finiranno per ignorare.
Questo approccio è molto più insidioso della vecchia colonna di annunci a lato della pagina. Per anni, abbiamo imparato a distinguere, con più o meno fatica, i risultati organici da quelli a pagamento. Ora, la pubblicità si mimetizza all’interno di una risposta che percepiamo come autorevole e oggettiva. La linea tra informazione e promozione viene deliberatamente offuscata, sfruttando la nostra fiducia in una tecnologia che si presenta come un oracolo imparziale.
Il doppio tradimento: prima i contenuti, poi l’attenzione
Questa mossa completa un’operazione che possiamo definire un doppio tradimento. In un primo momento, con l’introduzione delle risposte generate dall’IA (AI Overviews), Google ha di fatto espropriato i creatori di contenuti, usando il loro lavoro per fornire risposte dirette e tagliando drasticamente il traffico verso i loro siti. Ha creato un nuovo spazio, centralizzato e sotto il suo totale controllo.
Ora, in un secondo momento, sta mettendo all’asta quello stesso spazio. Dopo aver eliminato la concorrenza organica, sta vendendo l’attenzione degli utenti al miglior offerente. I creatori di contenuti perdono due volte: prima vengono privati del loro traffico, poi sono costretti a pagare per riacquistare visibilità all’interno del nuovo ecosistema chiuso di Google. È un capolavoro di estrazione di valore che lascia tutti gli altri attori del web con le briciole.
Non è un “esperimento”, è il futuro del loro modello di business
Google definisce questa mossa un “esperimento”, ma i numeri dicono altro. Con un mercato della pubblicità su ricerca AI che si prevede raggiungerà quasi 29 miliardi di dollari entro il 2029, questa non è un’opzione, è una necessità strategica. L’azienda sta semplicemente adattando la sua collaudata macchina da soldi alla nuova tecnologia.
La promessa di un’IA che democratizza l’accesso alla conoscenza si sta rivelando per quello che è: la costruzione di un giardino recintato ancora più efficiente, dove ogni nostra domanda diventa un’opportunità per venderci qualcosa. La ricerca non sta diventando più intelligente; sta solo diventando più abile a monetizzare le nostre intenzioni.