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Google lancia il “tutor AI”: la grande operazione per rendere l’IA accettabile nelle scuole

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Dopo mesi di accuse e preoccupazioni sul fatto che i chatbot stessero trasformando gli studenti in pigri “copia-incolla”, le Big Tech corrono ai ripari. Google ha annunciato il lancio di “Guided Learning” (Apprendimento Guidato) nel suo assistente Gemini, una mossa che segue a ruota la “Study Mode” presentata da OpenAI per ChatGPT. Sulla carta, l’obiettivo è nobile: trasformare l’IA da un semplice distributore di risposte a un vero e proprio “tutor” digitale che aiuta a sviluppare il pensiero critico. Ma dietro questa operazione di marketing si nasconde una strategia ben precisa: normalizzare la presenza dell’IA nell’istruzione, raccogliere dati preziosissimi su come apprendiamo e, in ultima analisi, plasmare il modo in cui le future generazioni accederanno alla conoscenza.

Corsa ai ripari: come l’IA cerca di rifarsi un’immagine

Il tempismo non è casuale. Con l’inizio del nuovo anno scolastico, sia Google che OpenAI sentono la necessità di rispondere alle crescenti critiche dal mondo accademico. L’idea che gli studenti possano usare i loro strumenti per bypassare lo studio e l’apprendimento è un disastro d’immagine. Ecco quindi la contromossa: riposizionare il prodotto. Non più una “macchina delle risposte”, ma un “partner collaborativo per il pensiero”.

È una classica strategia di PR: se il tuo prodotto è accusato di causare un problema, lancialo di nuovo presentandolo come la soluzione a quello stesso problema. E così, l’IA che rischia di atrofizzare il pensiero critico viene ora venduta come lo strumento per potenziarlo.

Cos’è l'”Apprendimento Guidato” di Gemini?

La nuova funzione di Google promette di non dare subito la risposta, ma di guidare l’utente attraverso un percorso di apprendimento. Invece di risolvere un problema matematico, ad esempio, Gemini lo scompone in passaggi, pone domande, offre spiegazioni alternative e utilizza elementi interattivi come quiz, diagrammi e video per testare la comprensione.

Inoltre, l’assistente potrà creare automaticamente “flashcard” e guide di studio personalizzate basate sui materiali forniti dall’utente. È, a tutti gli effetti, un tentativo di replicare il processo socratico di un tutor, ma in forma algoritmica.

Interfaccia di Guided Learning in Google Gemini.
L’interfaccia di “Guided Learning” di Google, che scompone i problemi in passaggi. Immagine: Google.

Il vero obiettivo: non insegnare, ma raccogliere dati

Ma qual è il vero scopo di questa operazione? Certo, offrire uno strumento più utile è parte dell’equazione. Ma il valore più grande per Google non risiede nell’educazione degli utenti, bensì nei dati che questi utenti generano. Ogni interazione con l'”Apprendimento Guidato” è una miniera d’oro: Google può analizzare su larga scala quali concetti sono più difficili, quali spiegazioni funzionano meglio, come le persone apprendono e dove si bloccano.

Questi dati sono inestimabili per affinare i modelli di IA e, potenzialmente, per creare profili utente ancora più dettagliati. Non è un caso che Google stia offrendo un anno di abbonamento gratuito al suo piano “AI Pro” agli studenti di diversi paesi. È una strategia collaudata: si offre un servizio gratuito a una generazione di futuri consumatori per renderli dipendenti dalla piattaforma e, nel frattempo, si raccolgono i loro dati per costruire il business di domani.

La standardizzazione del sapere secondo Google

C’è un’ultima, cruciale implicazione. Quando un’unica azienda, con i suoi algoritmi e le sue scelte editoriali invisibili, diventa il “tutor” di milioni di studenti in tutto il mondo, si corre il rischio di una pericolosa omologazione della conoscenza. Quali video di YouTube verranno scelti per spiegare un concetto? Quali fonti verranno privilegiate? Quali approcci a un problema verranno presentati come “corretti”?

Il rischio è che l'”apprendimento guidato” di Google diventi l’unica via, che la sua interpretazione diventi quella standard, appiattendo la diversità di pensiero e di approcci pedagogici. Invece di promuovere il pensiero critico, potremmo trovarci di fronte a una generazione che ha imparato a pensare “alla maniera di Google”. E questo è un prezzo molto più alto di un abbonamento mensile.

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