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Ragionevolmente dove e come l’IA impatterà sul mercato del lavoro?

In questo articolo

 


 

Introduzione: Oltre l’Hype, la Trasformazione Reale

L’intelligenza artificiale (IA) non è più un sussurro nei corridoi accademici o una fantasia da B-movie. È qui, tra noi, e si preannuncia come una forza di cambiamento paragonabile, se non superiore, alle grandi rivoluzioni industriali del passato. Non parliamo di una moda passeggera, ma di una tecnologia destinata a rimodellare industrie, modelli di business e, soprattutto, la natura stessa del lavoro. L’ascesa vertiginosa dell’IA generativa, con investimenti che sono esplosi dal suo avvento, ne è la prova più lampante.

Ma al di là dei proclami trionfalistici e dei timori apocalittici, cosa significa davvero questa trasformazione per chi lavora? Questo report si propone di scavare sotto la superficie dell’hype, analizzando l’impatto che l’IA eserciterà sull’occupazione nei prossimi 5 e 10 anni. Ci concentreremo, in particolare, sul rischio, tutt’altro che remoto, di un’erosione del potere d’acquisto delle classi medie e lavoratrici e sulla possibilità che questo si traduca in una contrazione della domanda aggregata, fino a sfiorare lo spettro della recessione. Esploreremo sia le dinamiche globali sia le peculiarità del nostro Paese, cercando di capire non solo *quanti* lavori spariranno o nasceranno, ma *come* cambieranno e chi rischia di pagare il prezzo più alto.

La velocità è un fattore chiave. L’adozione aziendale dell’IA è passata dal 33% nel 2023 al 71% nel 2024, un’accelerazione che suggerisce cicli di trasformazione molto più rapidi rispetto al passato. A differenza delle vecchie rivoluzioni, l’IA si innesta su infrastrutture digitali già esistenti, rendendo l’integrazione quasi istantanea. Questo lascia meno tempo per adattarsi, aumentando il rischio di shock occupazionali e mettendo sotto pressione i sistemi di welfare e formazione.

Emerge una tensione cruciale: da un lato, l’IA potrebbe democratizzare l’accesso alla conoscenza; dall’altro, rischia di allargare le disuguaglianze. Molti studi avvertono che a beneficiare saranno soprattutto i lavoratori altamente qualificati, mentre chi ha competenze inferiori o svolge mansioni routinarie vedrà peggiorare la propria posizione. Senza politiche mirate, rischiamo una società polarizzata tra “potenziati” e “spiazzati” dall’IA, con conseguenze devastanti per la coesione sociale.

È fondamentale, quindi, affrontare l’IA non come un feticcio tecnologico, ma come un fenomeno politico ed economico. È uno strumento potente, ma il suo impatto non è predeterminato. Dipenderà dalle scelte che faremo, dalle politiche che implementeremo e, soprattutto, da chi avrà il potere di indirizzare questa trasformazione. L’IA può essere uno strumento per concentrare ulteriormente ricchezza e potere, mettendo a valore le competenze dei lavoratori a beneficio di pochi, o può essere governata per distribuire i benefici e mitigare i rischi. La sfida è tutta qui.

Impatto Globale: Una Mappa della Trasformazione

L’IA sta ridisegnando la mappa del lavoro mondiale. Le previsioni, pur diverse, convergono su un punto: siamo di fronte a un cambiamento strutturale imponente, fatto di distruzione, creazione e, soprattutto, trasformazione dei ruoli esistenti.

Il Gioco dei Numeri: Tra Creazione e Distruzione

Le stime variano, ma il quadro è chiaro. Il World Economic Forum (WEF) prevede che entro il 2030, l’86% delle attività imprenditoriali sarà modificato dall’IA. Questo dovrebbe portare alla creazione di 170 milioni di nuovi ruoli, a fronte di 92 milioni destinati all’obsolescenza, con un saldo netto positivo di 78 milioni di posti.

Goldman Sachs, tuttavia, dipinge uno scenario più cupo, ipotizzando che l’IA generativa possa automatizzare fino a 300 milioni di posti a tempo pieno, circa il 25% del mercato globale. McKinsey, invece, suggerisce che circa metà delle *attività* (non dei posti) potrebbe essere automatizzata, ma prevede una domanda aggiuntiva (fino a 890 milioni di posti) che compenserà le perdite. L’OCSE rileva che il 27% dell’occupazione nei paesi membri è ad alto rischio.

FonteStima Creazione Lavori (lorda)Stima Distruzione Lavori (lorda)Saldo NettoOrizzonte Temporale% Forza Lavoro Impattata (stime)Principali Settori/Ruoli Impattati
World Economic Forum (WEF)170 milioni92 milioni+78 milioniEntro 203086% imprese trasformate+ Specialisti IA/ML, Sicurezza, Transizione Verde, Cura, Istruzione. – Amministrativi, Data Entry, Assistenza Clienti.
Goldman SachsNon specificatoFino a 300 milioni (esposti)Non specificatoMedio-lungo termine25% mercato globale– Mansioni cognitive routinarie.
McKinsey & Company555-890 milioni (domanda agg.)400 milioni (spiazzati)PositivoEntro 203050% attività; 29,5% ore USA+ Manager, Professionisti high-skill, Insegnanti, Sanitari. – Lavori manifatturieri e contabili.
OECDNon specificatoNon specificatoNon specificatoNon specificato27% a più alto rischio (media OECD)– Occupazioni con mansioni routinarie.

Come interpretare questi numeri apparentemente contraddittori? Non si tratta di una semplice distruzione netta, ma di una riallocazione e riconfigurazione radicale del lavoro. Molti lavori cambieranno volto, altri spariranno, e molti lavoratori dovranno migrare verso nuove occupazioni. La vera sfida non è la *mancanza* di lavoro, ma la *gestione della transizione*: riqualificazione, mobilità, supporto sociale. Se falliamo, rischiamo disoccupazione, disuguaglianze e tensioni. E resta aperta la domanda cruciale: i nuovi lavori saranno *migliori* di quelli persi?

Vincitori e Vinti: I Settori Chiave

L’impatto non sarà uniforme. I settori in crescita vedranno protagonisti specialisti in IA, cybersecurity, trasformazione digitale, ma anche ruoli legati alla transizione ecologica e alla cura della persona. La “care economy” e la “green transition” sono infatti altri due potenti motori di cambiamento, spesso ad alta intensità di lavoro e con competenze (empatia, interazione) che l’IA fatica a sostituire. Politiche che supportano questi settori potrebbero creare un doppio dividendo, ambientale e occupazionale.

Al contrario, i settori a rischio includono mansioni manuali e ripetitive, assistenza clienti di routine, ruoli amministrativi, data entry, alcuni servizi finanziari e logistica. L’evoluzione delle mansioni vedrà una crescente collaborazione uomo-macchina, con solo un terzo dei compiti svolto esclusivamente da umani entro il 2030. Questo implica un cambiamento radicale nelle competenze: non solo tecnologiche, ma anche cognitive (pensiero critico, creatività) e socio-emotive (leadership, intelligenza emotiva). Il 39% delle competenze odierne potrebbe diventare obsoleto entro il 2030, rendendo la formazione continua un imperativo.

Automazione vs. Potenziamento: Il Dilemma Cruciale

Molti sostengono che l’IA non sostituirà, ma potenzierà i lavoratori (augmentation), liberandoli per attività a maggior valore aggiunto. Ma la linea è sottile. L’esito dipenderà da come le imprese sceglieranno di utilizzare questa tecnologia. L’equilibrio tra sostituzione e potenziamento determinerà non solo il numero di posti, ma anche la qualità del lavoro, la domanda di nuove competenze e, in ultima analisi, la distribuzione dei redditi e la coesione sociale. E qui sta il punto critico: l’IA, nelle mani di chi cerca solo la riduzione dei costi, rischia di diventare uno strumento di pressione al ribasso sui salari e di precarizzazione, piuttosto che un volano di crescita condivisa.

Il Contesto Italiano: Vulnerabilità e Finestre Critiche

L’Italia affronta la sfida dell’IA con un bagaglio di vulnerabilità specifiche. Con oltre il 30% dei posti di lavoro ad alto rischio di automazione, siamo sopra la media OCSE. Questo è dovuto alla nostra struttura industriale, ricca di manifattura e PMI, spesso meno pronte a investire in riconversione avanzata. Manifattura, lavoro amministrativo e persino le professioni creative sono tra i settori più esposti.

Tuttavia, le previsioni di Unioncamere (Sistema Excelsior) per il 2024-2028 indicano un fabbisogno tra 3,1 e 3,6 milioni di lavoratori. La stragrande maggioranza (80-92%) di questo fabbisogno deriva dalla replacement demand, ovvero la necessità di sostituire chi esce dal mercato per ragioni demografiche. Questo, unito a un’adozione ancora bassa dell’IA nelle PMI (solo l’11% ha avviato sperimentazioni) e alla carenza di competenze digitali, crea una finestra di opportunità critica ma limitata. Se riuscissimo a formare rapidamente le nuove leve e a riqualificare quelle esistenti prima che l’automazione dilaghi, potremmo gestire la transizione in modo meno traumatico, inserendo lavoratori già “IA-ready” nei posti lasciati liberi. Fallire significherebbe un doppio smacco: difficoltà a trovare sostituti e un impatto più duro dell’IA futura. Il PNRR potrebbe essere cruciale, ma solo se indirizzato verso le competenze del futuro.

Un aspetto preoccupante, però, è la struttura del nostro tessuto produttivo. Le PMI, con minori risorse, potrebbero essere tentate di usare l’IA principalmente per tagliare i costi, inclusa la manodopera, soprattutto in un contesto di stagnazione salariale cronica. Questo approccio, focalizzato sul risparmio piuttosto che sull’innovazione e il potenziamento (augmentation), potrebbe portare a una maggiore perdita di posti di lavoro e limitare la crescita del PIL che l’IA potrebbe generare. Nonostante stime ottimistiche parlino di un potenziale +18,2% di PIL grazie all’IA, questo potenziale resta subordinato a investimenti mirati e a una visione lungimirante, non solo focalizzata sulla riduzione dei costi.

IA, Salari e Potere d’Acquisto: La Spremitura della Classe Media

L’impatto dell’IA sui salari è uno dei nodi più critici, con chiare implicazioni per la giustizia sociale. La tendenza globale è verso la polarizzazione: l’IA sembra favorire i lavoratori altamente qualificati, aumentando i loro salari, mentre mette pressione su quelli con basse qualifiche o mansioni routinarie. Alcuni studi suggeriscono che l’IA potrebbe esacerbare la disuguaglianza di reddito, mentre altri notano che molti nuovi posti creati (cura, istruzione) hanno tipicamente salari contenuti, accentuando la polarizzazione e svuotando le fasce intermedie.

Per l’Italia, uno studio INAPP (2011-2019) è particolarmente eloquente: l’esposizione all’IA è associata a salari più alti, ma questo effetto positivo si attenua significativamente attorno alla mediana. Parliamo di un +3,4% per il decimo percentile, solo +1,7% per la mediana, e +5,1% per il novantesimo percentile. Questa “stagnazione della mediana” conferma la tendenza alla polarizzazione e indica una vulnerabilità specifica della classe media italiana, che rischia di non beneficiare dell’IA come i redditi più alti.

Questo si innesta su una debolezza cronica: l’Italia è l’unico grande paese europeo con retribuzioni reali medie inferiori al 2013. Questa stagnazione salariale ci rende estremamente sensibili a shock negativi. La “stagnazione della mediana” potrebbe essere un segnale precoce di uno “svuotamento” della classe media, tradizionalmente composta da occupazioni con competenze intermedie, proprio quelle più a rischio. Un indebolimento della classe media significa meno consumi, meno investimenti in istruzione, più pressione sul welfare e instabilità politica. Se questa tendenza si amplificherà, sarà una delle principali cause di preoccupazione per una possibile stagnazione strutturale.

La conseguenza diretta è l’erosione del potere d’acquisto. Anche solo l’insicurezza lavorativa può frenare i consumi. In un contesto come quello italiano, dove i salari reali sono già fermi da anni, l’impatto dell’IA rischia di tradursi in una perdita netta di potere d’acquisto per molti, rendendoci vulnerabili a shock sulla domanda interna e richiedendo interventi di politica economica più incisivi.

Dal Potere d’Acquisto alla Stagnazione: Valutare la Minaccia

L’erosione del potere d’acquisto può innescare una spirale negativa: meno consumi, meno domanda aggregata, meno produzione, meno investimenti, meno occupazione. È il classico meccanismo keynesiano che può portare a una recessione. Ma l’impatto dell’IA non è scontato. Rabobank delinea quattro scenari: da “Goldilocks” (crescita e inflazione) a “Excess Capacity” (produttività alta, domanda bassa, disuguaglianza) e “Struggling Stagnation” (bassa produttività, alta disuguaglianza). Solo alcuni portano a rischi recessivi o di stagnazione.

I timori di una recessione da IA si basano sulla riduzione della domanda aggregata e sull’aumento della disuguaglianza. Le argomentazioni contrarie puntano sull’aumento della produttività, sulla creazione di nuovi lavori e sulla riduzione dei prezzi. La verità è che non esiste un “destino tecnologico”. L’impatto dipenderà dalle scelte politiche: se i guadagni vengono reinvestiti e distribuiti, il rischio cala; se vengono tesaurizzati o concentrati, il rischio aumenta. La paura è giustificata solo se si assume un approccio di laissez-faire tecnologico.

Per l’Italia, con la sua adozione graduale dell’IA e l’alta domanda di sostituzione, il rischio immediato non è una recessione acuta, ma una “stagnazione secolare aggravata”. Se l’IA accentuerà le nostre debolezze (bassa produttività, stagnazione salariale) senza un impulso diffuso all’innovazione, rischiamo di mancare l’opportunità di rilancio, rimanendo intrappolati in bassa crescita e crescenti disuguaglianze. Il rischio, per noi, è più un lento scivolamento che un crollo improvviso.

Governare questa transizione richiede strategie mirate. L’imperativo è la riqualificazione e l’aggiornamento delle competenze (reskilling/upskilling). L’85% dei datori di lavoro lo considera una priorità, ma non basta formare tecnici. È cruciale sviluppare meta-competenze: imparare a imparare, pensiero critico, creatività, adattabilità. Le competenze tecniche specifiche di oggi saranno obsolete domani; la capacità di adattamento è la vera chiave. Questo richiede una riforma radicale dei sistemi educativi.

Servono politiche attive del lavoro: sostegno ai lavoratori spiazzati, programmi di ricollocamento, promozione di lavoro di qualità. Gli investimenti pubblici in istruzione e infrastrutture digitali sono fondamentali, così come la collaborazione tra governi, imprese, sindacati e istituzioni formative. Il mercato, da solo, non ce la farà.

Infine, è vitale affrontare le questioni etiche e regolamentari. Bisogna prevenire i bias algoritmici, proteggere la privacy, garantire trasparenza e definire responsabilità. È necessario un quadro normativo che assicuri uno sviluppo dell’IA centrato sull’uomo (human-centric). E qui emerge un conflitto: la pressione a breve termine per il ROI e la riduzione dei costi può scontrarsi con la necessità di investimenti a lungo termine in capitale umano e IA etica. Le imprese, specialmente le PMI, potrebbero sottoinvestire in questi aspetti cruciali. Per questo, il ruolo dello Stato come co-investitore e incentivatore di pratiche responsabili è indispensabile. Senza questo intervento, rischiamo che si concretizzino gli scenari peggiori, anche se l’IA venisse ampiamente adottata.

Conclusioni: Non C’è Destino Tecnologico, Solo Scelte Politiche

L’IA trasformerà il lavoro, non c’è dubbio. Ma come lo farà e chi ne beneficerà non è scritto nelle stelle, né nei chip di silicio. I timori di una recessione da IA sono giustificati solo se lasceremo che la transizione avvenga senza guida, in modo iniquo. Per l’Italia, il rischio più concreto è un aggravarsi della stagnazione e delle disuguaglianze.

La sfida è pragmatica: massimizzare i benefici minimizzando i costi sociali. Questo richiede un’azione coordinata:

  • Le imprese devono vedere l’IA come leva di innovazione e augmentation, non solo di riduzione costi, e investire massicciamente in formazione.
  • I lavoratori devono abbracciare l’apprendimento permanente e sviluppare competenze cognitive e socio-emotive, non solo digitali.
  • I decisori politici hanno il compito più arduo: creare un ecosistema favorevole all’innovazione responsabile, riformare istruzione e formazione, rafforzare welfare e politiche attive, promuovere un dialogo sociale inclusivo, garantire una distribuzione equa dei benefici e sviluppare una regolamentazione etica.

È necessaria una visione strategica, una “politica industriale per l’era dell’IA” integrata con le politiche sociali. L’IA è uno strumento potente. Nelle mani giuste, e con le giuste regole, può portare a una crescita diffusa. Ma se lasciata a sé stessa, o peggio, utilizzata come mero strumento per massimizzare i profitti e concentrare il potere, rischia di approfondire le crepe di una società già segnata da profonde disuguaglianze. La palla è nel campo della politica, non della tecnologia.