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La fine della parabola politica di Elon Musk è un altro specchio della sua vita privilegiata e dannosa?

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La recente, ingloriosa ritirata di Elon Musk dall’agone politico americano non è un incidente di percorso, ma il riflesso fedele di una carriera costruita sull’hype, su promesse mirabolanti raramente mantenute e su una gestione controversa che spesso ha lasciato dietro di sé una scia di danni e perplessità. Dalle auto elettriche che avrebbero dovuto guidarsi da sole un decennio fa alla colonizzazione di Marte data per imminente, passando per tunnel futuristici rivelatisi modesti passaggi per auto e interfacce cervello-macchina dalle dubbie tempistiche e implicazioni etiche, il modus operandi di Musk è stato caratterizzato da un divario siderale tra narrazione e realtà. La sua incursione politica, culminata con un ruolo nell’amministrazione Trump e che si conclude ora con una “patetica” marcia indietro, non fa eccezione, mostrando ancora una volta un personaggio abile nel generare clamore ma decisamente meno nel costruire risultati solidi e positivi.

L’innovatore di fumo: promesse mancate e realtà operativa

L’immagine di Elon Musk come genio visionario, una sorta di Tony Stark in carne ed ossa, si scontra duramente con l’analisi fattuale delle sue imprese.

Tesla, l’azienda simbolo, è emblematica: la guida completamente autonoma (FSD) è stata promessa come imminente per quasi un decennio, ma richiede ancora la supervisione umana, e la rivoluzione dei robotaxi resta un miraggio. Il famoso Modello 3 da 35.000 dollari, destinato a democratizzare l’auto elettrica, è stato una chimera per la maggior parte dei consumatori, rapidamente ritirato in favore di versioni più lucrose. Persino il Cybertruck, presentato con proclami di indistruttibilità, ha debuttato tra ritardi, problemi di qualità e un prezzo lievitato fino a diventare materiale da meme più che un auto desiderabile.

SpaceX, pur con innegabili successi, vende il sogno della colonizzazione di Marte con tempistiche costantemente smentite dai fatti, mentre lo sviluppo di Starship procede tra intoppi e spettacolari esplosioni.

L’Hyperloop, pubblicizzato come rivoluzionario sistema di trasporto terrestre, sembra essere stato silenziosamente abbandonato dallo stesso Musk dopo aver generato enorme clamore mediatico, e la The Boring Company arranca con progetti come il Vegas Loop, criticato per la sua bassa capacità e velocità.

Neuralink promette cure miracolose per paralisi e cecità, ma i trial sull’uomo sono partiti con grande ritardo e le affermazioni sono definitealtamente speculative” da molti neuroscienziati, senza contare le serie preoccupazioni etiche e le indagini per il trattamento degli animali durante i test.

Dietro le quinte, l'”inferno produttivoè diventato quasi una norma per Tesla, e l’acquisizione di SolarCity, azienda in difficoltà finanziarie e co-fondata dai cugini di Musk, ha sollevato più di un dubbio su possibili conflitti d’interesse.

Elon Musk Hyperloop

X: il megafono della disinformazione e dell’estremismo

L’acquisizione di Twitter, ribattezzato X, ha trasformato la piattaforma in uno strumento personale di Musk per plasmare la narrazione pubblica, spesso a scapito della verità. Descritto come una “potente macchina della disinformazione“, X sotto la guida di Musk ha visto un crollo dei ricavi e una fuga degli inserzionisti, ma soprattutto un aumento della diffusione di notizie false e teorie del complotto.

Musk stesso ha utilizzato X per diffondere informazioni fuorvianti sulla pandemia di COVID-19, amplificare teorie cospirazioniste riguardanti figure politiche e persino per mettere in dubbio le prove sul background neonazista dell’autore di una sparatoria in Texas, bollando le notizie come “psy op”.

Particolarmente inquietante è la sua vicinanza, o quantomeno la sua tolleranza, verso figure e ideologie di estrema destra. Ha espresso sostegno al partito tedesco AfD, invitando la sua co-leader Alice Weidel su X, la quale durante un’intervista con lo stesso Musk ha tentato di edulcorare la storia del nazismo. Ha reintegrato su X e sostenuto economicamente l’attivista britannico di estrema destra Tommy Robinson e il suprematista bianco americano Nick Fuentes, noto per le sue posizioni antisemite e negazioniste dell’Olocausto. Lo stesso Fuentes ha potuto impunemente diffondere messaggi inneggianti alla “rape culture” senza conseguenze per il suo account.

Musk ha anche ripreso la teoria della “sostituzione etnica”, cara agli ambienti neonazisti, e ha definito “verità” un post antisemita, attaccando l’Anti-Defamation League (ADL). Sotto la sua gestione, X è stata accusata di monetizzare hashtag legati al suprematismo bianco come #whitepower e di aver drasticamente ridotto la moderazione dei contenuti, portando a una proliferazione di discorsi d’odio. Il gesto del saluto simil-nazifascista durante l’insediamento di Trump è solo l’ultimo, sconcertante episodio di una lunga serie di segnali preoccupanti provenienti dalla sua gestione della piattaforma e dalle sue esternazioni personali.

Musk e l'antisemitismo

Il “Doge” di Washington: un’efficienza di facciata

L’ingresso di Musk nell’amministrazione Trump come capo del neonato Department of Government Efficiency (DOGE) prometteva una rivoluzione manageriale nella burocrazia federale. Le sue dichiarazioni su tagli miliardari e un approccio da “motosega” si scontrarono però con una realtà ben diversa.

L’operato di DOGE è stato caratterizzato da metodi “spericolati”, licenziamenti di massa, pressioni sui dipendenti federali e tentativi di smantellare agenzie. I risparmi effettivi furono giudicati “gonfiati e imperfetti“, ben lontani dalle cifre sbandierate. Lo stesso Musk dovette ammettere che il DOGE aveva più un ruolo di consulenza che un reale potere decisionale. Anche le affermazioni pubbliche di Musk sui risparmi ottenuti dal DOGE si sono rivelate spesso fuorvianti o errate, come nel caso di un presunto taglio da 8 miliardi di dollari che in realtà era di 8 milioni.

Emersero inoltre gravi conflitti d’interesse, data la sua posizione di CEO di aziende con lucrosi contratti governativi, senza adeguate dichiarazioni in merito. Trump stesso avrebbe liquidato la questione, affermando che Musk avrebbe identificato autonomamente i propri conflitti. Mai successo ovviamente.

Musk e le bugie del DOGE

Un’alleanza triste: Musk e l’orbita trumpiana

Il rapporto tra Elon Musk e Donald Trump è una parabola di opportunismo politico. Inizialmente critico verso Trump, definendolo “non la persona giusta” e arrivando a dimettersi da comitati consultivi presidenziali per protesta contro il ritiro dall’Accordo di Parigi sul clima, Musk ha poi operato una clamorosa inversione a U.

Nonostante gli scambi di insulti nel 2022, con Trump che lo etichettava come “artista della stronzata” e Musk che suggeriva a Trump di ritirarsi, e un presunto epiteto di “fottuto idiota” rivolto da Musk a Trump nel 2020, l’imprenditore è diventato il principale finanziatore individuale della campagna di Trump e dei PAC Repubblicani.

Musk e Trump

Questa svolta è stata alimentata da un’avversione crescente verso i Democratici, definiti “partito della divisione e dell’odio”, dopo la sua opposizione ai lockdown pandemici e da questioni relative al suo personal branding: Musk era diventato un paladino di una certa parte di progressismo USA per il so investimento in green tech, al punto che tutti i frame libertardian in giro erano arrivati a definirlo un socialista (seriamente). Ma buona parte della sinistra più radicale (quei 12mil che non si sono presentati a votare Harris, ragionevolmente) continuava a considerarlo un parassita come fanno con tutti gli one percenter. Problematico per lui, considerato il suo narcisismo e il bisogno di avere intorno a sé una cerchia cult-like. Quel tipo di target lo fidelizzi meglio a destra, meglio tra gli estremisti, estremamente meglio tra i complottisti (di qui, va da sé, le posizioni no-vax).

Senza contare il fatto che a promuovere riduzioni fiscali massicce ai miliardari non sono mai i democratici, pur essendo essi stessi un partito tecnicamente di centrodestra. Di conseguenza il cambio di casacca è stato più organico di quel che si possa credere.

L’alleanza con l’estrema destra quindi, priva di un solido ancoraggio ideologico e basata su una cinica convenienza reciproca e ricerca della rilevanza popolare a tutti i costi, era destinata a sgretolarsi se non a conflagrare. Suggellata da un doppio “Sieg Heil” alla cerimonia di insediamento di Trump che ha fatto crollare le vendite Tesla (amorevolmente ribattezzate Swasticars dall’internet), creato mobilitazioni pubbliche di web personalities che rivendevano o restituivano le proprie Tesla e vandalismi molto creativi contro quei pochi Cybertruck in giro. Il tutto mentre uno sparuto gruppo di bootliker provava a giustificare quel gesto assurdo parlando di dimostrazioni di affetto e mettendo in giro foto di altri politici che salutavano col braccio sinistro dicendo “allora sono nazisti pure loro“. Uno spettacolo avvilente.

La disfatta elettorale in Wisconsin, dove un candidato massicciamente sostenuto da Musk ha perso nettamente, ha segnato però il vero punto di svolta. La popolarità di Musk non si è più ripresa, le sue aziende hanno subito contraccolpi ed è diventato una figura “tossica”. O forse lo era già da prima e qualcuno cercava una scusa per dirlo finalmente ad alta voce.

L’esportazione del modello finita in una bolla sapone

Il tentativo di esportare questo modello è stato tentato anche con l’Europa con il brand MEGA (Make Europe Great Again) con tutti gli endorsement alle peggiori destre estreme di cui ho scritto nei paragrafi precedenti? Ne avete sentito più parlare? AFD  cresciuto ma è difficile che sopravviva fino a diventare una reale minaccia. In UK Farage sta diventando sempre più forte a causa principalmente dell’idiozia di Starmer e poco altro. La Le Pen ormai è old new senza eredi. Siamo rimasti solo noi italiani ormai ad andargli dietro e sbagliamo anche i gol a porta vuota sull’Ukraina.

La cosa si era costruita come estensione della strategia “you are the media now” che prometteva una rivoluzione decentralizzata dell’informazione perché i vecchi media non sono a detta sua (e del suo target di riferimento complottista già citato) affidabili.

C’era stato anche un incontro con “realtà europee dell’informazione indipendente” di cui però l’unica presenza nota era il creatore  di Welcome to Favelas (di cui non ricordo il nome e di certo non perderò una frazione di secondo a cercarlo), e si erano sollevati dei dubbi sul fatto che ci fosse un piano per creare una rete di disinformazione coordinata a livello europeo. Al momento però quelli di WTF restano gli unici al mondo a utilizzare ancora quell’hashtag nei loro post. Probabilmente stanno ancora aspettando che Andrea Stroppa li chiami per digli che è tutto ok.

Mi sono appena ricordato dell’esistenza di Stroppa. Ma con una breve ricerca ho potuto verificare che prosegue il solco di chiacchiere e piagnistei tracciato dal suo padrone.

Eredità di un funambolo: tra danni e inconcludenza

L’annuncio di Musk di voler ridurre la sua spesa politica suona come una resa forzata. Il gelido silenzio di Trump certifica la sua caduta in disgrazia.

“È finito, spacciato, andato… La gente lo odia” riporta il The Economic Times.

Ma la fine della sua avventura politica è più di un fallimento personale; è lo specchio di una carriera che, dietro la facciata dell’innovazione, ha spesso operato ai limiti della legalità e dell’etica, causando danni tangibili. La vera eredità di Elon Musk non è quella dell’innovatore, ma quella del privilegiato dannoso.

È in parte un successo per la gente decente, che conferma quanto anche la minoranza rumorosa e violenta di poveretti che lo venerano sia, appunto, una minoranza buona solo a fare caso studio ma non a salvare la reputazione di un personaggio così deplorevole.

Ma le conseguenze della sua effimera popolarità politica rimangono.

Il suo ruolo nel DOGE non è stato solo un flop manageriale, ma un’operazione che ha attivamente promosso una visione politica regressiva. Diffondendo disinformazione contro USAID e spingendo per tagli indiscriminati, ha fornito copertura ideologica a politiche che miravano a indebolire programmi vitali come Medicaid e l’assistenza ai veterani, il tutto per giustificare ulteriori tagli fiscali per i super-ricchi. Circa 4.5milioni di dipendenti pubblici hanno perso il lavoro per far diventare più ricchi quelli che non avrebbero bisogno di essere più ricchi.

La sua ricchezza e la sua fama lo proteggono dalle conseguenze, sia che si tratti di scontrarsi con la SEC, sia che si tratti di diffondere odio o di minacciare lo stato sociale. È un privilegio che usa non per costruire un futuro migliore, ma per consolidare il proprio potere e la propria ricchezza, a spese della collettività.

La sua parabola dimostra i limiti dell’influenza dei miliardari, ma anche la loro pericolosità. Alla fine, Musk appare come un imbonitore seriale la cui maschera sta cadendo, rivelando il vuoto di una leadership basata sull’autopromozione e sulla volontà di cercare il profitto personale senza alcuna preoccupazione per le macerie che lascia intorno. Ma quando questo viene applicato alla gestione di una delle più grandi potenze economiche al mondo è roba da non dormirci la notte.

Per fortuna è finita e il sipario cala su questa ennesima, vacua performance, e il suo patrimonio lo difenderà ancora una volta, lasciando il pubblico a chiedersi non cosa verrà dopo, ma quanto danno sia ancora in grado di fare se gliene verrà data la possibilità prima della prossima, inevitabile, giravolta.

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